CONFINE E RELAZIONE
Franco Gnudi
Viviamo ed agiamo in un campo psicologico soggettivo, in cui la mappa di sé e dell’ambiente è la base per la sopravvivenza e la crescita. Il posizionamento del confine fra persona ed ambiente definisce i contorni dell’identità e della visione del mondo, la sua corretta definizione è alla base di ogni competenza relazionale.
Il campo organismo/ambiente
Ognuno vive all’interno di un contesto fisico e sociale, a cui è unito e contemporaneamente diviso da una immaginaria linea o superficie o spazio di confine, attraversato da un flusso continuo di informazioni, materia ed energia (I. Prigogine, teoria dei sistemi viventi, aperti e dissipativi[i]).
Le informazioni sono i mattoni costitutivi e gli aggiornamenti delle mappe mentali della situazione presente -organismo, ambiente e confine – necessarie all’azione efficace per l’ottenimento dell’energia e del nutrimento necessari alla sopravvivenza, alla crescita e al superamento di sé. Fin dai suoi inizi, e già nelle forme più primordiali, la vita è intelligenza (Maturana e Varela[ii]).
Le fluttuazioni del campo operano su una sua descrizione stabile e mediana: la personalità come fenomeno intersoggettivo, il rapporto soggetto/oggetto, la relazione identità/visione del mondo, le interazioni usuali al confine di contatto.
Quando i contorni del confine, e quindi le stesse definizioni di identità e visione del mondo, di qua e di là da esso, sono incerti o mal posizionati, l’orientamento e l’azione nel campo risultano limitate e problematiche.
Di qua e di là dal confine
La corretta definizione del confine, la sua adeguatezza al variare della situazione, è un parametro critico per l’acquisizione ed il miglioramento di ogni competenza relazionale e il raggiungimento di obiettivi significativi, e perciò è necessario fuoco di attenzione in ogni percorso di crescita personale e sviluppo professionale, coaching incluso.
Una consapevole e attuale mappa di sé (ciò che è all’interno del confine) è indispensabile per comprendere i bisogni e le motivazioni, per riferirsi a valori solidi nei momenti di incertezza, per riconoscere vocazione e passione, risorse talenti e potenzialità, distinguere e valorizzare i punti di forza rispetto alle competenze critiche da allenare ed implementare.
Viceversa, una mappa accurata e aggiornata dell’altro e dell’ambiente (ciò che è all’esterno del confine) è necessaria per comprenderne i vissuti e le idee, definire le caratteristiche e necessità del contesto o dell’organizzazione, analizzare le competenze chiave del ruolo e dell’attività, i concreti obiettivi, gli ostacoli, le risorse del campo, le possibilità concrete di interazione.
Ridefinizione e ristrutturazione
La definizione di ciò che è all’interno (identità) e ciò che è all’esterno del confine (mondo) è la prima sfida della consapevolezza. Sono le due parti del campo percettivo ed esistenziale, soggettivamente definito, ma il confine fra loro – e conseguentemente l’esattezza degli specifici contenuti – può essere arbitrario ed incoerente. Ad esempio, a proposito dell’identità, una regola od un valore di riferimento, assunta a suo tempo dall’ambiente per osmosi familiare o culturale (introiezione), può rivelarsi incongruente nell’insieme del proprio codice morale, o controproducente per il benessere della persona e dell’ambiente, per la definizione di obiettivi realmente coinvolgenti, per il successo nella vita, e per tale motivo deve essere rielaborata o definitivamente espulsa oltre il confine dell’identità e restituita all’ambiente.
Viceversa, la percezione dell’altro e la visione del mondo possono essere distorti e deviati da pregiudizi e schemi costruiti sulle vecchie esperienze e forzosamente adattati alla situazione contingente (proiezioni), [iii] ma essere per nulla adeguati a descriverla e comprenderla nella sua essenza e pienezza, per cui diventa necessario il ritiro dello schema dall’oggetto al soggetto, dall’esterno all’interno del confine, e una sua opportuna ristrutturazione. Ciò che segnala l’adeguatezza o la necessità di ridefinizione del posizionamento del confine è una percezione estetica di buona o cattiva forma [iv], una sensazione di armonia o al contrario di inquietudine e disagio, che accompagna il cattivo adattamento degli schemi cognitivi e comportamentali alla situazione presente, un segnale che qualcosa di rilevante nella situazione corrente ci sfugge o non si armonizza con il nostro tentativo di comprenderla e di agire efficacemente in essa. Occorre allora tornare ai sensi, sospendere e mettere in discussione i vecchi schemi, destrutturarli, cercare creativamente nuovi collegamenti, finché una nuova comprensione, una rigenerata costellazione figura/sfondo non emerge con tutta la forza dirompente e la commozione del’insight.
Il confine nella relazione di coaching.
La consapevolezza dei confini, dei contenuti identitari e della visione del mondo, dei processi di interruzione del contatto, sono competenze relazionali di base, su cui ogni altra competenza deve poggiare, nonché parametri di riferimento nel progredire dell’allenamento di coaching.
Il coach deve fare molta attenzione a che i medesimi disturbi del confine, presenti nella realtà vissuta propria e del coachee, con i relativi impliciti rapporti di confusione e di dominanza, non compaiano come processi parallelii [v] all’interno della stessa relazione di coaching, inficiandola pesantemente. Se, paradossalmente, fossero però portati a consapevolezza, potrebbero diventare essi stessi utilissimo materiale di apprendimento e crescita.
Queste le domande da farsi in ogni momento dell’incontro: i valori emergenti, le idee sulla situazione, le decisioni finali appartengono a chi? Di chi è la responsabilità della scelta e dell’azione e chi decide inalienabilmente della propria vita? Quanto la relazione è paritaria, basata su domande disinteressate anziché su consigli, manipolazioni o imperativi nascosti? Solo dalla consapevolezza della relazione, può provenire la responsabilità, la scelta e la vera crescita.
Conclusioni
Il campo psicologico (inter)soggettivo, dove soggetto ed oggetto sono separati da un confine di definizione ed interazione, è costruito a partire dall’esperienza e con la funzione di guidarci attraverso l’esperienza. Esso ci permette di incontrare il mondo ma può essere il muro che ce ne separa. Di fronte alla mancanza di una “buona forma” nella comprensione e nell’azione, a segnali di disaccordo fra mappa e territorio, il confine fra le due parti del campo deve essere ridefinito, riprendendo ciò che è nostro, restituendo ciò che appartiene all’altro, verso l’orizzonte intenzionale e responsabile dell’incontro. Dalla consapevolezza del campo, l’efficacia dell’azione.
Note bibliografiche
[i] Ilya Prigogine, Le strutture dissipative. Autorganizzazione dei sistemi dinamici di non equilibrio, Ed. Sansoni, 1982
[ii] Humberto Maturana, Francisco Varela, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Ed. Marsilio, 1985
[iii] D. Jackson, J. Beavin, P. Watzlawick, Pragmatica della comunicazione umana, Ed. Astrolabio, 1971
[iv] Kurt Koffka, Principi di Psicologia della Forma, Ed. Boringhieri, 1970
[v] Frans Meulmeester, Changing is standing still. A Gestalt perspective on organisations, Ed. BNB, 2013
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