Venerdì 17 ho partecipato per la prima volta ad una Giornata nazionale di Formazione AICP e sono rimasto molto colpito dalla qualità dei relatori (su tutti segnalo la splendida introduzione della presidente Maria Teresa Arcidiaco, gli scoppiettanti interventi del mitico G.G. Renzulli e la succosa testimonianza di Sheyla Rega) e dall’interessante lavoro di gruppo svolto nel pomeriggio (grazie a tutti i colleghi del team Business Coaching 1).
Vorrei esprimere alcuni spunti a caldo per una riflessione comune sul tema principale della giornata presentato da Emanuela Del Pianto: le comunità di pratica e il modello di intervisione AICP.
LE COMUNITÀ DI PRATICA sono un elemento fondamentale per la crescita del coach: permettono di acquisire nuove tecniche in modo pratico, di affinare quelle esistenti in una prospettiva di confronto dialettico e collaborativo con altri coach. L’integrazione, la condivisione e la contaminazione che nascono dalla curiosità rappresentano la linfa vitale per ogni essere umano, per un coach sono ossigeno puro!
La crescita attraverso l’affinamento della pratica ha sempre rappresentato la mia forma prediletta di apprendimento e come trainer e formatore ho sempre voluto che i miei allievi – junior e senior – si mettessero alla prova con casi reali o realistici. Nel caso di coach junior si può lavorare con casi realistici ben costruiti, mentre con i coach senior si può lavorare sui casi reali affrontati con maggiore o minore successo dai coach stessi. Ho sempre chiamato ciò che facevo “esercitazioni” “coaching di gruppo” “soluzione di casi”: ora so che il nome giusto è “comunità di pratica”.
Mi rassicura e mi fa molto piacere che il modello ufficiale proposto da AICP per le comunità di pratica preveda una MODALITÀ ONLINE, perché è quella che prediligo e che trovo più adatta ai tempi e all’evoluzione della figura del coach. Io mi sono formato con una scuola di coaching americana e, al di là dell’oceano, la web call/meeting è la norma; spesso in Italia ho incontrato resistenze e diffidenze su questo strumento: ben venga quindi la “legittimazione” da parte della nostra Associazione.
IL MODELLO DI INTERVISIONE proposto ( da CLEAR ad AICPC ) è sicuramente interessante e merita tempo per essere assimilato, integrato ed approfondito. Trovo corretto cercare di definire un modello generale per aiutare i coach e i coaching club / comunità di pratica ad armonizzare i processi ed ottimizzarli: sono certo che nel tempo ciascun coach / club / comunità di pratica si “sintonizzerà” sul modello più adatto per le specifiche esigenze. Una forte discriminante – emersa già nella pratica del pomeriggio – è secondo me quella tra che coach che fanno domande e coach che fanno considerazioni: personalmente credo che all’interno della stessa intervisione ci sia spazio per entrambe le forme. L’altra variabile: intervisione da parte di un singolo vs di un gruppo mi vede invece decisamente schierato a favore della forma di gruppo (prevedendo magari la figura del facilitatore di gruppo).
Il modello presentato prevede COMUNITÀ DI PRATICA SPECIALISTICHE, focalizzate su aree specifiche del coaching: life, sport, business, … Sono d’accordo che questo approccio possa semplificare la scelta del gruppo di appartenenza e ottimizzare l’apprendimento. Tuttavia – per forma mentis e per formazione personale (sono nato mental coach e sono diventato power coach) – penso al coaching come un processo che aiuta e fa crescere le persone e le persone sono unità: io lavoro sulla persona e poi questa applica le tecniche dei diversi campi della sua vita. Le comunità di pratica che guido sono “multi-specialistiche” e funzionano molto bene!
In estrema sintesi, ecco il mio pensiero:
– Ottima idea le comunità di pratica, soprattutto in web conference e multi-specialistiche
– Bene il modello di intervisione, soprattutto di gruppo e adattabile
Voi cosa ne pensate?
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